a cura dell’avv. Christopher Jackson

Il mio datore di lavoro può impormi l’obbligo vaccinale?

Visto il rapido avanzamento della campagna vaccinale in Svizzera, è divenuta d’attualità la domanda a sapere se ed a quali condizioni un datore di lavoro possa imporre l’obbligo del vaccino contro il COVID-19 ai propri dipendenti. Infatti, molti datori di lavoro vorrebbero imporre ai propri lavoratori l’obbligo di vaccinarsi, al fine di minimizzare il rischio di focolai nell’azienda nonché con lo scopo di ridurre il rischio di lunghe assenze per malattia, tutelando al contempo la salute degli altri dipendenti, in ossequio all’art. 328 CO.

Per contro, alcuni lavoratori ritengono che la libertà di vaccinarsi o meno sia un diritto attinente alla sfera prettamente personale e di conseguenza esulante dal diritto del datore di lavoro di stabilire direttive e dare istruzioni, ai sensi dell’art. 321d CO. Tanto più considerando come l’obbligo di vaccinarsi estenderebbe i propri effetti anche al di fuori dell’ambito strettamente lavorativo.

La questione è ancora lungi dall’essere definitivamente risolta, dovendosi verosimilmente attendere le prime pronunce del Tribunale federale in materia: tuttavia, alcuni autori hanno già dato una loro prima interpretazione della fattispecie.

Occorre, in primo luogo, distinguere tra i contratti di lavoro già in essere e quelli stipulati ex-novo: infatti, per i secondi, vale – di principio – la libertà contrattuale, in base alla quale il datore di lavoro può prevedere che – con la firma del contratto di lavoro – il lavoratore accetti di sottoporsi al vaccino (oppure attesti di esservisi già sottoposto)(cfr. Thomas Geiser / Roland Müller / Kurt Pärli, Klärung arbeitsrechtlicher Fragen im Zusammenhang mit dem Coronavirus, Jusletter vom 23. März 2020, N 58).

La base giuridica per tale previsione contrattuale – che incide fortemente sulla sfera personale del lavoratore – sarebbe, da un lato, l’art. 321d CO, che prevede il diritto per il datore di lavoro di impartire direttive ed istruzioni, dall’altro (soprattutto) l’art. 328 CO, che prevede l’obbligo, in capo al datore di lavoro, di tutelare la salute dei propri dipendenti.

In circostanze ordinarie, una rinuncia contrattuale, da parte del lavoratore, ai propri diritti inerenti la sfera della personalità sarebbe di principio nulla, risultando lesiva dell’art. 27 CC, il quale protegge dall’assunzione di impegni contrattuali eccessivi, nonché dell’art. 341 cpv. 1 CO, il quale prevede che, durante il rapporto di lavoro e nel mese successivo alla sua fine, il lavoratore non può rinunciare ai crediti risultanti da disposizioni impe­rative della legge o di un contratto collettivo (cfr. Nicole Vögeli Galli, Covid-19-Impfung und Selbstbestimmungsrecht im Arbeitsverhältnis, N. 6-7).

Tuttavia, considerata la situazione particolare legata alla pandemia COVID-19, la dottrina maggioritaria ritiene che una rinuncia puntuale e circoscritta al diritto di non vaccinarsi (valida solamente per il vaccino COVID-19 e non per altri vaccini futuri) sia compatibile con le norme a tutela della personalità del lavoratore. Infatti, un soppesamento degli interessi in gioco porta a ritenere che il dovere del datore di lavoro di tutelare la salute dei propri dipendenti (art. 328 CO) sia preminente rispetto al diritto del lavoratore di non vaccinarsi (cfr. ad esempio Marcel Lanz, Der Sars-CoV-2-Impfstoff – eine haftpflichtrechtliche Beurteilung, Jusletter vom 8. Februar 2021, N 100 e ss.; Nicole Vögeli Galli, Covid-19-Impfung und Selbstbestimmungsrecht im Arbeitsverhältnis, N. 9-11).

 Inoltre, siccome siamo nel caso di un contratto non ancora concluso, il lavoratore avrà sempre la possibilità di rinunciare alla conclusione dello stesso.

Veniamo ora al caso, più complesso, del contratto di lavoro già in essere, il quale non prevede l’obbligo, per il lavoratore, di sottoporsi al vaccino.

In primis, sussiste la possibilità, per il datore di lavoro, di proporre al lavoratore una modifica del contratto, prevedendo l’inserimento dell’obbligo vaccinale: tale modifica può intervenire consensualmente oppure a seguito della disdetta del precedente contratto con contestuale stipula di quello nuovo, nel rispetto del termine di disdetta. In tal caso, si rimanda a quanto riportato poc’anzi con riguardo alla stipula di contratti nuovi.

Resta tuttavia da chiarire se il datore di lavoro possa – nell’ambito di un contratto di lavoro già in essere e senza modificare quest’ultimo – imporre il vaccino al lavoratore appellandosi al suo diritto di impartire istruzioni e direttive, in ossequio all’art. 321d CO (c.d. “Weisungsrecht”). In questo caso, non si può prescindere da una valutazione individuale di ciascuna fattispecie concreta: infatti, solamente un soppesamento degli interessi nel caso concreto può giustificare l’imposizione dell’obbligo vaccinale quale rispetto delle direttive del datore di lavoro. Molti sono gli aspetti che andranno tenuti in conto, primo fra tutti il rischio concreto di contagio alla luce del ruolo del lavoratore nell’azienda.

Laddove, ad esempio, il lavoratore sia a stretto contatto con clienti e/o colleghi, l’imposizione dell’obbligo vaccinale si giustifica maggiormente rispetto al caso di un lavoratore che svolge la prestazione lavorativa in totale isolamento. Nel primo caso infatti, il dovere del datore di lavoro di tutelare la salute dei propri dipendenti e clienti prevale rispetto al diritto del singolo lavoratore di rifiutare il vaccino: il rispetto delle direttive del datore di lavoro rientra così nell’obbligo di diligenza e fedeltà del lavoratore, ai sensi dell’art. 321a CO. Nel secondo caso invece, l’utilizzo di dispositivi di protezione potrebbe essere sufficiente per salvaguardare la salute dei colleghi, con i quali il lavoratore in questione ha poco contatto (cfr. Nicole Vögeli Galli, Covid-19-Impfung und Selbstbestimmungsrecht im Arbeitsverhältnis, N. 16-17).

Ad ogni modo, l’imposizione dell’obbligo vaccinale dovrebbe sempre essere considerato quale misura d’ultima ratio, da applicare laddove altre misure meno incisive nella sfera personale del lavoratore non possano portare agli stessi risultati (Roger Rudolph, Pandemie und Impfobligatorium für das Gesundheitspersonal – Dargestellt am Beispiel der Pandemischen Grippe H1N1 2009 («Schweinegrippe»), ARV 2010).

In conclusione, pur essendo la questione dell’obbligo vaccinale nei rapporti di lavoro ancora in fase di studio, si può partire dal presupposto che – in generale – l’obbligo vaccinale imposto dal datore di lavoro sia legittimo, sia in un contratto nuovo che nell’ambito di un contratto in corso, a determinate condizioni.

Infatti, la libertà di autodeterminazione del lavoratore trova i suoi limiti nel diritto (e soprattutto dovere!) del datore di lavoro di tutelare i propri dipendenti nonché i terzi dal rischio d’infezione da COVID-19 (cfr. Nicole Vögeli Galli, Covid-19-Impfung und Selbstbestimmungsrecht im Arbeitsverhältnis, N. 32).

Nei contratti nuovi, laddove il lavoratore dovesse rifiutarsi di accettare contrattualmente l’obbligo vaccinale, l’assunzione potrà essergli negata. Nei contratti in essere, laddove il lavoratore dovesse contravvenire alle disposizioni contrattuali accettate o alle direttive del datore di lavoro, potrà essere ammonito e, in caso di continuata contravvenzione, persino licenziato, senza che si possa considerare tale licenziamento abusivo (cfr. Nicole Vögeli Galli, Covid-19-Impfung und Selbstbestimmungsrecht im Arbeitsverhältnis, N. 33; Kurt Pärli / Jonas Eggmann, Corona und die Arbeitswelt, Jusletter vom 8. Februar 2021, N 87).

Per qualsiasi chiarimento, restiamo a vostra disposizione.