Diritto d’accesso ai dati personali ai sensi dell’art. 8 LPD: il limite dell’abuso di diritto

 

a cura dell’avv. Christopher Jackson, Partner, Lenzin Bordoni & Partner

L’art. 8 della Legge federale sulla protezione dei dati (LPD) prevede che ogni persona abbia il diritto di domandare al detentore di una collezione di dati personali se quest’ultimo stia trattando dati che la riguardano. In caso affermativo, il titolare dei dati personali ha il diritto di accedervi, di chiederne la cancellazione così come di sapere quali siano i fondamenti giuridici del trattamento, le categorie dei dati trattati. La domanda d’accesso ai dati – di principio – non deve essere motivata e nemmeno deve essere dimostrato un interesse legittimo da parte della persona interessata.

I casi in cui il titolare del trattamento dei dati può rifiutare l’accesso ai dati personali alla persona interessata sono esaustivamente menzionati nell’art. 9 LPD: in primis, l’accesso può essere rifiutato dal titolare del trattamento laddove una legge in senso formale lo preveda. Inoltre, l’accesso può pure essere rifiutato laddove interessi preponderanti di un terzo lo esigano.

L’art. 2 cpv. 2 lett. c LPD prevede esplicitamente che la Legge federale sulla protezione dei dati non si applica ai procedimenti civili pendenti, volendo infatti il legislatore evitare la sovrapposizione tra la LPD ed il Codice di diritto processuale civile (CPC) in materia di raccolta delle prove. Tuttavia, si pone il problema a sapere se una domanda d’accesso ai dati effettuata prima dell’inizio della procedura civile (e meglio prima dell’avvenuta litispendenza ai sensi dell’art. 62 CPC), volta a raccogliere informazioni necessarie per valutare le prospettive di causa, sia da considerarsi esclusa dall’applicazione della LPD o meno.

Il Tribunale federale si è recentemente chinato sul problema nella decisione 4A_277/2020 del 18 novembre 2020, statuendo su una fattispecie nella quale alcuni investitori, dopo aver investito piccole somme di denaro in una società, hanno chiesto a quest’ultima di poter accedere ai loro dati personali, con l’unico scopo di valutare – anticipatamente – le probabilità d’esito favorevole di una causa giudiziaria.

L’Alta corte, nella precitata decisione, ha rilevato come ogni domanda d’accesso ai dati personali ai sensi dell’art. 8 LPD debba considerarsi come un abuso di diritto laddove il motivo di tale domanda sia estraneo agli scopi perseguiti dalla legge. Infatti, lo scopo della LPD è quello di tutelare la personalità dei titolari dei dati personali e non quello di sovrapporsi ai meccanismi processuali in materia di prove, previsti dal CPC.

Pertanto, conclude il TF, una domanda d’accesso ai dati ai sensi dell’art. 8 LPD avente, come unico scopo, quello di valutare anticipatamente le chances di esito favorevole di un’azione giudiziaria sfugge agli scopi della legge ed è pertanto da considerarsi abusiva ai sensi dell’art. 2 cpv. 2 CC, anche laddove tale domanda venga formulata prima della litispendenza.

Si rileva come possa essere difficile, per il titolare del trattamento dei dati, sapere quale sia il vero scopo della domanda d’accesso ai dati formulata dall’interessato, visto come tale domanda non presupponga una motivazione e tantomeno la dimostrazione di un interesse legittimo. Il titolare del trattamento dovrà pertanto valutare il caso concreto, rischiando, da un lato, di rendersi inadempiente in caso di indebito rifiuto d’accesso ai dati; dall’altro, rischiando di fornire all’interessato prove alle quali quest’ultimo potrebbe non avere diritto nell’ambito di una procedura giudiziaria.

Con l’entrata in vigore della LPD revisionata, le incertezze dovrebbero essere ridotte, tuttavia l’attuale quadro giuridico risulta ancora essere insoddisfacente, non essendo stato tracciato in modo chiaro il confine tra domanda d’accesso ai dati abusiva e domanda d’accesso lecita.

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